Cambiare vita in una settimana

Era una di quelle giornate di marzo in cui sembra che la primavera sia già arrivata, tre anni fa. Quel giorno avevo deciso di prendermelo libero per staccare da tutto e tirare il fiato, mi ero alzato con comodo alle 9 passate e dopo una ricca colazione avevo preso l’auto per andare a fare un giro nella campagna a sud di Firenze. Dopo una ventina di chilometri mi venne voglia di visitare un borgo medievale che amo molto e dove non mettevo piede da diversi anni, presi quella direzione e dopo poco stavo parcheggiando. Pochissime persone per le vie del paese, per lo più concentrate intorno al circolo Arci, un silenzio e una pace che corrispondevano esattamente a ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Passeggiando mi portai ai margini dell’edificato per ammirare le colline e i vigneti circostanti, e sempre passeggiando vidi una ragazza con una folta chioma rosso rame seduta su una panchina ivi presente. Man mano che mi avvicinavo, mettendola a fuoco meglio mi accorsi di conoscerla ma fui sorpreso del fatto che si trovasse lì, poiché ero abituato a vederla dietro il bancone di un caffè che sono solito frequentare in città con la divisa da bartender e i capelli raccolti.
“Ngiooorno…” la salutai con un sorrisetto passando davanti alla panchina, ricambiò seria e indifferente, ma mi accorsi che aveva gli occhi rossi e le guance bagnate.
“Tutto bene?” le domandai con tono apprensivo.
“Si, si…anzi non proprio”
“Che succede, posso aiutarti?”. Nessuna risposta. Mi sedetti e rimasi qualche istante in silenzio, vidi appoggiato un libro di Agota Kristof, una scrittrice di cui anni fa avevo letto un paio di opere rimanendone ben impressionato. Ma pensai subito che forse non era il caso di attaccarmi a quel pretesto per avviare una chiacchierata, e che magari era meglio togliere il disturbo.
“Mi son preso una giornata libera per staccare, questo posto mi è sempre piaciuto molto. Evidentemente piace anche a te, per scappare dalla routine”
“Io ci abito” rispose essenziale dopo qualche secondo.
Non posso dire che avessimo un rapporto di confidenza, sebbene mi servisse cappuccini, brioches o pizzette da anni. Era una barista un po’ anomala, sempre molto composta e seria, mai un ammiccamento con nessun cliente, mai mezza battuta, insomma quel tipo di donna che inevitabilmente mi incuriosisce. Un giorno avevo ascoltato i commenti di alcuni ragazzotti seduti a un tavolo, uno di loro ne esaltava la bellezza dicendo cosa le avrebbe fatto se l’avesse avuta per una sera, gli altri due lo dissuadevano dal fare ipotesi di alcun genere poiché era fidanzatissima e se ci avesse provato sarebbe andato a sbattere.
Quella mattina, in quella circostanza, l’ultima cosa a cui pensavo era tentare un approccio, ma mi faceva tenerezza vederla così e mi avrebbe fatto piacere rasserenarla distraendola con una conversazione leggera, e aver saputo che abitava lì fu argomento sufficiente per avviarla. Venni a sapere che viveva da un anno col suo fidanzato, che stavano insieme dall’adolescenza, che stavano progettando il matrimonio. Piano piano si sbottonò e cominciò a raccontare varie cose della sua vita: la passione per lo sport e la natura, la distanza dal modo di vivere di molte sue coetanee, la sua timidezza.
“Molti pensano che sono una stronza, li ho sentiti al bar, dicono che me la tiro. Invece sono timida. Timida e seria. E’ un problema così grave? Sembra che se una non va a letto con tutti è stronza. Io ho un legame da dieci anni, non voglio uomini e non posso”
“Posso domandarti perché hai pianto stamattina? Scusami se sono invadente”
“Abbiamo litigato pesantemente. E non è la prima volta, anzi”
La conversazione proseguì passeggiando, e la invitai a mangiare qualcosa insieme in una trattoria che conoscevo, poco distante dal borgo. Accettò e il pranzo fu accompagnato da una bottiglia buona di rosso, la tristezza di poche ore prima stava svanendo e per la prima volta la vidi ridere. Sapeva essere anche spiritosa. Dopo il caffè bevemmo due grappe, e forse non era più lucidissima. La riportai a casa e salutandoci ci scambiammo i numeri di telefono. Poco dopo ricevetti un messaggio in cui mi ringraziava per averle tirato su il morale, e per il vino buonissimo.
Il silenzio dei giorni successivi fu interrotto tre sere dopo da un messaggio in cui diceva: “è successo un casino. Posso chiamarti o disturbo?”. Il fidanzato il pomeriggio di quel giorno in cui ci eravamo incontrati si era accorto che aveva un po’ bevuto, si era infuriato, avevano di nuovo litigato e infine le aveva sferrato un pugno in faccia. Lei aveva chiamato suo padre che, arrivato tempestivamente sul posto, lo aveva cacciato da casa intimandogli di stare lontano dalla figlia. Avrebbe denunciato l’accaduto ai carabinieri se avesse fatto diversamente. Lei aveva un grosso livido sullo zigomo e per questo non avrebbe potuto presentarsi al lavoro fino a quando non fosse stata presentabile. Era già successo altre volte che la schiaffeggiasse, ma questa volta era andato oltre. Non aveva deciso di chiudere il rapporto con il fidanzato, ma nemmeno di proseguirlo. Infine mi chiese se avessi potuto passare da lei il giorno successivo, che aveva bisogno di parlarne, scusandosi per lo sfogo e per approfittare della mia gentilezza. Accettai e fissammo per l’ora di cena.
Quando arrivai stava cucinando un risotto, la tavola era apparecchiata con cura e sobrietà, al centro una bottiglia dello stesso vino bevuto insieme in trattoria. Il livido era evidente, guardandola provai tenerezza e rabbia, ma riuscii a celare bene entrambe.
Durante la serata mi raccontò tutto: dopo un inizio della relazione in cui le aveva riservato affetto e attenzioni, col passare degli anni aveva progressivamente agito su di lei condizionandola, dandole obblighi e restrizioni su ogni minimo dettaglio della sua vita, controllandola ossessivamente, e infine alzando le mani con frequenza sempre maggiore. Quello che mi lasciò basito è come lei cercasse delle spiegazioni a questi comportamenti, di fatto giustificandoli. La lasciai parlare intervenendo il minimo, e cercai di non appesantire ulteriormente il quadro che mi stava fornendo. A tratti tentai di alleggerire la conversazione, soprattutto quando affrontò gli aspetti sessuali del rapporto: due scopate alla settimana, sempre uguali e basate sul pompino iniziale, guidato meccanicamente con la mano sulla sua nuca, sull’amplesso nella posizione del missionario e su quello alla pecorina, anch’essi praticati meccanicamente, con posture e atteggiamento tronfi che evidenziassero la muscolatura che con grande disciplina si stava costruendo quotidianamente in palestra.
Le dissi che, pur non conoscendo lui e conoscendo poco lei, a mio parere le conveniva voltare pagina e trovare un fidanzato normale. Che la rispettasse, valorizzasse le sue molte qualità e la amasse come merita anche sessualmente. Mi accorsi che mentre parlavo si era appoggiata a me come una bambina e si stava addormentando, rimasi per un attimo interdetto e le dissi che si era fatto tardi e forse era meglio che ci salutassimo. Riaprendo gli occhi appoggiò le sue labbra alle mie e dopo poco mi infilò la lingua in bocca dando inizio a un bacio a cui non seppi resistere. La fermai dopo qualche minuto dicendole che forse non era il caso in quel momento e data la sua condizione emotiva: “sei una donna davvero splendida, mi piaci moltissimo e non fraintendermi, ma è bene che in questo momento riordini le idee e cerchi di ritrovare il tuo equilibrio”. Annuì scusandosi e dandomi ragione, ci salutammo e tornai a casa.
La mattina successiva al risveglio trovai tre messaggi sul telefono: nel primo – inviato alle 4 e mezza – si scusava di nuovo e mi ringraziava per il prezioso supporto, nel secondo – mezz’ora dopo – scriveva di essere stata fortunata ad aver incontrato un uomo speciale come me, nel terzo – pochi minuti dopo – che desiderava più di ogni cosa fare l’amore con me. Non risposi, uscii di casa per affrontare gli impegni lavorativi del mattino, senza riuscire a togliere la testa a quanto era accaduto negli ultimi giorni. Ero combattuto: leggendo quei messaggi e ripensando al suo odore avevo avuto una fortissima erezione, d’altro canto continuavo a dirmi che non potevo approfittare della sua vulnerabilità. Ci pensai tutta la mattina, finché arrivai alla conclusione che forse stavo esagerando con gli scrupoli: aveva un terribile bisogno di essere amata e le avrebbe fatto bene. La chiamai dopo pranzo e le dissi che anch’io avevo una voglia matta di lei e le proposi di passare il fine settimana alle terme.
Il sabato, arrivati in hotel ci cambiammo e andammo a trascorrere la mattinata nelle piscine di acqua calda sulfurea, dove rilassandoci cominciammo a prendere confidenza coi nostri corpi. Dopo tre ore decidemmo di salire. Giunti in camera le sfilai l’accappatoio e a seguire il costume, la feci sedere sul bordo del letto e mi accucciai a terra cominciando ad accarezzare e baciare con cura ogni centimetro della sua pelle dai piedi fino ai fianchi e al ventre, finché mi staccai e le dissi: “adesso apri le gambe”. Le spalancò offrendo al mio sguardo le labbra rosee della sua vulva totalmente depilata. Inspirai profondamente col naso mentre sentivo l’erezione assestarsi, mi alzai in piedi e feci scivolare a terra l’accappatoio, in quell’istante inclinò leggermente la testa verso il basso come per evitare di guardarmi, presi le sue mani e le portai delicatamente sui bordi laterali del mio costume, rialzando la testa me lo abbassò rimanendo fissa a osservare il cazzo nella sua forma più concreta. Tornai a terra e mi misi a quattro zampe, ora potevo annusare e leccare le parti non accessibili poco prima: l’interno delle cosce, gli inguini, le labbra della fica, il clitoride, in una manovra di avvicinamento sottolineata dall’alterarsi del suo respiro. Arrivato lì, vi appoggiai la punta della lingua e feci leggermente pressione per rilasciare subito dopo, ebbe un sussulto come attraversata da una scarica elettrica. Feci nuovamente pressione sul grilletto che percepivo più gonfio, e mantenendola cominciai a muoverlo circolarmente, poi in senso inverso, mantenendo la stessa bassa velocità. Pose delicatamente le mani sopra la mia testa, quasi con esitazione, emettendo i primi mugolii sottovoce. Scesi con la lingua lungo la fessura, e la trovai grondante di umori che assaporai con ampie leccate, ora infilandomi tra le labbra, ora girandoci intorno mentre percepivo fremiti e gemiti sempre più insistenti. Tornai sugli inguini e sull’interno delle cosce e feci il percorso a ritroso per riportarmi in ginocchio e poi rialzarmi in piedi. Le porsi una mano per invitarla ad alzarsi, la accompagnai dinanzi allo specchio dove le feci piegare il busto in avanti e appoggiare le mani alla parete, controllai l’inarcatura della spina dorsale in modo da esaltare la forma complessiva e in particolare quella dei suoi glutei, le feci leggermente divaricare le gambe e mi chinai aprendo con cura il passaggio per assaggiare il buco del culo, roseo anch’esso ma di un tono più scuro rispetto alle labbra della fica. Quando sentì la lingua ebbe uno scatto, proseguii leccando sempre più intensamente mentre con due dita stuzzicavo il clitoride sfiorandolo e imprigionandolo in esse. Fu un gioco molto più lungo di come riesco a descriverlo. Quando le due dita penetrarono la vagina i sussulti si fecero frenetici e arrivò il primo orgasmo, accompagnato da urli liberatori.
La presi tra le braccia e la riportai in posizione eretta stringendola a me, facendo aderire i nostri corpi interamente. Girò un poco la testa e le bocche si incontrarono in un bacio travolgente, mentre le lacrime sgorgavano dai suoi occhi. “E’ incredibile” sussurrò “grazie…grazie..”. Indietreggiammo sempre incollati assieme e mi sedetti sul bordo del letto dove era lei poco prima, le dissi “ora inginocchiati tu davanti a me” e aprii le gambe offrendole il cazzo teso verso l’alto. “Segui il tuo istinto, io rimango fermo”. Cominciò a conoscerlo tramite le mani, accarezzandolo e cingendolo con entrambe, sfiorando la cappella e studiandone ogni particolare della forma con un dito, scendendo lungo la verga fino a raggiungere lo scroto per poi giocherellare con i testicoli. Si abbassò e cominciò a leccare da lì, la sentii di nuovo fremere, salì e cominciò ad assaggiarlo tutto, punto per punto. Guardarla era inebriante, le sensazioni che lingua labbra e mani mi stavano donando mi stordivano. Era totalmente naturale, seguiva l’istinto come le avevo indicato, e non accennava ad aumentare di intensità, riusciva a mantenermi sul limite del piacere più intenso che tuttavia non prendeva la via dell’orgasmo. Non riesco a calcolare per quanto tempo abbia proseguito, fui io a fermarla chiedendole di portarmi uno dei preservativi che si trovavano nella tasca della mia borsa.
“Ora scartalo e mettimelo tu” le dissi: fu meravigliosa anche in questo semplice gesto, che solitamente rappresenta una fastidiosa pausa nel rapporto.
“Facciamo una cosa che probabilmente non hai mai provato”: adagiai la mia schiena sul materasso, staccai i piedi dal pavimento portando le gambe indietro, ai lati delle mie spalle e le indicai di avvicinarsi, di allargare le sue gambe e di tirare il cazzo verso di se fino a portare la cappella a contatto con la fessura. Le riuscì con facilità e naturalezza, e devo dire che il fisico atletico e le gambe lunghe le sono stati di aiuto. Flettendo leggermente le gambe accolse dentro di se molto lentamente tutto il cazzo, mentre il respiro si faceva affannato. “Ora afferra le mie caviglie e comincia a cavalcare seguendo le tue sensazioni”. Dopo le prime flessioni il suo corpo cominciò a muoversi con naturalezza e lei a prenderci gusto: sapeva dirigere i movimenti del bacino in modo da trovare le stimolazioni più intense per il suo canale vaginale, cavalcava all’amazzone che era uno spettacolo, decideva quando affondare per sentirsi colmata dal cazzo e scatenare l’orgasmo, che quando arrivava veniva annunciato da gemiti e urli che non si preoccupava più di contenere. E’ una posizione questa che non mi fa raggiungere l’orgasmo, probabilmente per il tipo di tensione a cui sottopone la verga. A lei invece questa pratica la portava al culmine del piacere con molta facilità e notevole intensità, di sua iniziativa provò anche a voltarsi offrendomi la visione della splendida schiena e del meraviglioso culo e godendo ancora intensamente. Dopo l’ennesima esplosione di piacere le dissi di fermarsi e di inginocchiarsi di nuovo come prima, mi sollevai di nuovo seduto al bordo del letto, tolsi il preservativo e cominciai a masturbarmi a pochi centimetri dal suo viso. Non staccava gli occhi dal cazzo mordendosi le labbra, fino a quando fu investita dagli schizzi di sperma che sancirono la fine di quel primo nostro rapporto. Estasiante per entrambi.
In quel weekend facemmo più sesso che bagni termali.
In auto tornando a casa, convenne con me che ora avrebbe dovuto fare i conti con quella difficile situazione che aveva in sospeso e mettere ordine ed equilibrio nella sua vita.
Si separò definitivamente dall’ex fidanzato e durante l’estate incontrò un ragazzo in gamba con cui iniziò una relazione che prosegue felicemente tuttora. Un giorno mi scrisse un messaggio in cui diceva che in pratica la sua vita era cambiata, e in meglio, in una settimana.
Le risposi che non ero stato io l’artefice di quel cambiamento, ma che era già latente in lei chissà da quanto. Io passavo soltanto di là.

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